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Uno sfogo a volte può essere controproducente

Di video e sfoghi sui social al giorno d’oggi ne vediamo e ne sentiamo molti, quello del quale vado a parlarvi è stato pubblicato da un’atleta che ha vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo e ha fatto letteralmente la storia del suo sport, il canottaggio. Ho voluto analizzare e scrivere una riflessione a riguardo. Ovviamente ha fatto discutere e si è discusso sul modo nel quale sono state esternate le parole della Cesarini, ma questo non vuole essere un post critica, ma solo analizzare e riflettere su ciò.

Federica Cesarini e Valentina Rodini

“Mi sembra assurdo che con una medaglia d’oro olimpica non si riesce ad ottenere qualche sponsorizzazione. Mi sembra assurdo che queste sponsorizzazioni vadano ad altre persone con meno risultati sportivi, e perché? Perché praticano uno sport con maggiore visibilità. Mi sono rotta il ca**o. Facciamo uno degli sport, se non lo sport, più faticoso del mondo. Mi alleno 13/15 volte a settimana con sedute di almeno 2 ore e 30. Credevo che il problema fosse il mancato risultato, ma no”.

Prima di approfondire la mia riflessione, però, ho voluto chiedermi e farmi alcune domande in merito allo sfogo e all’intervista che hanno rilasciato a La Repubblica, perché anche se posso capirlo ed essere convinto non sono proprio certo della sua efficacia.

La domande che mi sono posto sono le seguenti:

  • Corrisponde alla realtà l’affermazione che le sponsorizzazioni vadano solo a chi ha più visibilità?
  • Il canottaggio è realmente lo sport più faticoso del mondo?
  • Hanno vinto in troppi  e fanno sport con numeri ben diversi dal vostro: La responsabilità di chi è? Del tipo di sport? Dei potenziali sponsor? Della Federazione? 

Le trasmissioni tv e i giornalisti ci mettono del loro

perché le gare di canottaggio vengono coperte solo due ore su tre giorni di regate? ” – “perché durante le interviste ci chiedono di portare pazienza se sbagliano sport ( canoa invece di canottaggio) o se sbagliano i nostri nomi (nomi letteralmente diversi dai loro) ?

La Rai ha le sue responsabilità e ne avevo già parlato in questo articolo – Olimpiadi di Tokyo 2020 – Brevi riflessioni qua e la – ma analizzando i problemi che si sono rivelati durante i Giochi Olimpici di Tokyo si nota e si capisce che questo riscontro problematico non li ha solo il canottaggio ma, come ho già scritto nel post collegato, anche la pallavolo maschile ha riscontrato problemi; alla fine del secondo set della partita contro il Canada, che stavano vincendo per due set a zero, la regia decise di cambiare sport senza poi tornare sul match, che ha poi vinto l’Italia per 3 a 2. Di esempi se ne possono trovare altri, come dirette non trasmesse e al loro posto partite di calcio degli anni 80 o gare, per esempio d’atletica lasciate a metà. Sul discorso degli sbagli di sport e dei nomi credo che un po’ più di preparazione da parte dei giornalisti non guasterebbe.

Quindi di chi sono le responsabilità?

Posso essere d’accordo con loro, gli “sport minori” hanno purtroppo trattamenti di questo genere e non ricevono la proporzionata visibilità indietro, nonostante la vittoria di un Oro Olimpico. Ma a chi dobbiamo la responsabilità di tutto questo? La dobbiamo al “mondo calcio”? La dobbiamo ai potenziali sponsor? Può darsi, ma non è solo responsabilità loro; temo e penso che sia una torta con tante fette da dividere. In linea generale le federazioni sono coinvolte in questa responsabilità, la promozione di uno sport “dovrebbe” passare anche da loro, ma non solo. Purtroppo come già detto, gli organi di stampa ci mettono del loro.

Le motivazioni e le responsabilità possono culminare ad un problema culturale dello sport, del quale l’utente ha una relativa responsabilità, dato che si è parlato di social e di visibilità, ma “questo attore” dovrebbe essere aiutato dalla varie componenti che gravitano attorno ad un determinato sport e/o atleta. Gli organi di stampa dovrebbero prepararsi un minimo prima di parlare di un determinato sport o atleta collegati tra loro; quando sbagliano nomi o confondono discipline è un problema legato alla mancanza di preparazione e studio. Tutto questo discorso è solamente per analizzare alla fine lo sfogo, oltre che a essere un’opinione personale.

Se le due atlete non avuto i risultati sperati nell’avere maggiori sponsorizzazioni questo si potrebbe in parte imputare e ricercare nell’analisi prima descritta, ma non è solo questo. Un risultato importante come la vittoria della medaglia d’oro alle Olimpiadi dovrebbe (e potrebbe) essere un’onda da cavalcare per creare un progetto per attrarre sponsor e non dare per scontato che questi cadano dal cielo; posso capire lo sviluppo e l’affidamento ad un marketing di tipo attrattivo ma dietro ci deve essere comunque un lavoro da sviluppare.

Uno sfogo legittimo ma…

Uno sfogo che può essere legittimo, condivisibile, ma che forse può rivelarsi come un boomerang perché sicuramente ha dato modo di dar alle due atlete una certa visibilità ma questo può ritorcersi contro di loro, vista il lessico con il quale si sono sfogate. Sono d’accordo infatti con Andrea Annunziata quando nel suo post – Perché l’Oro Olimpico Non Porta Sponsor? – fa riferimento all’atleta come professionista e che certi sfoghi non sono molto funzionali. Infatti la domanda sorge spontanea: Quanti sponsor dopo uno sfogo del genere busseranno alla loro porta?

Questa storia mi ha ricordato molto gli esordi di Giovanni Soldini, allora sconosciuto e senza sponsor, che scrisse sulla sua imbarcazione “Sponsor Wanted” visto che nessuno patrocinava le sue regate. Alla fine però sappiamo tutti come è andata a finire.

A breve pubblicherò anche un podcast su Sport Riflessi in merito a tutto questo argomento.